Per una che ne ha viste tante trovandosi in dozzine di luoghi di lavoro diversi, vivendo per svariati lustri gioie e dolori lavorativi, non c'è niente di meglio che una bella serie Apple TV sul dramma del work balance, vale a dire quel valore cui le nuove generazioni di boss sembrano tenere tanto: l'equilibrio tra lavoro e vita personale. L'equilibrio ma anche la necessità (o dannazione) di dover separare le due cose a costo di sentirsi costantemente inadeguati sia come impiegati sia come individui (vi è mai capitato di perdere un evento cruciale della vita di uno dei vostri figli per colpa di una riunione in presenza di un'ora nella quale ci ripetevano pari pari le stesse cose già espresse in una e-mail? ecco, allora capite ciò che intendo). Ma se VOLERE È POTERE, volere e basta senza fare scelte concrete, lascia il tempo che trova, cari manager dei nostri giorni...
Concluso il pistolotto sullo stress da lavoro, vengo al dunque: SEVERANCE (pronuncia: sèvrans) è una serie stupenda, al punto che vorresti possedere un acceleratore di particelle solo per proiettarti di colpo nel 2024 e vedere la seconda stagione. Di sicuro ho sbagliato qualcosa, l'acceleratore non c'entra nulla, lo so, ma al liceo mi rimandavano sempre in fisica e matematica perché mi nascondevo in cantina a leggere "Il giovane Holden", quindi che volete da me, lasciatemi vivere di fantascienza e morire in pace.
Che dire del cast: Adam Scott al top che più adatto di così non si poteva, e tutti gli altri attori uno più bravo dell'altro. Il produttore/regista Ben Stiller, che già di sdoppiamenti lavorativi si era occupato assai bene in THE SECRET LIFE OF WALTER MITTY (2013, remake di un film del 1947) con toni meno apocalittici, produce qui un piccolo capolavoro. L'alta drammaticità della storia si stempera in alcuni momenti lievi e grotteschi stile THE OFFICE, ma la tensione è forte e alla fine di ogni episodio non siamo più noi stessi, la severance ha funzionato anche sul pubblico della serie che ne esce trasformato e si gratta la testa pensando di essere stato forse microchippato a sua insaputa come il gatto acciambellato accanto a lui sul divano.
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