I just found this article in L'Espresso:
Ciak, parla Bertolucci
di Rita Cirio
A Venezia gli verrà conferito il Leone d'Oro. Qui il regista apre la stanza dei suoi ricordi. Riflette sul cinema, racconta il rapporto con gli attori e traccia il bilancio della sua vita. Colloquio con Bernardo Bertolucci
Scherza, Bernardo Bertolucci, sull'accidente che lo costringe a camminare per un po' di tempo appoggiandosi a un deambulatore. "Ho pensato e sognato che questo piccolo attrezzo ortopedico a quattro ruote mi è stato assegnato dal destino per dirmi che nei miei film ho fatto troppe carrellate. E allora, per un periodo, mi sono trasformato in un carrello umano. Credo che dirò la stessa cosa quando dovrò salire sul palcoscenico della Mostra del Cinema di Venezia per ricevere il Leone d'Oro, che non è alla carriera, odora di prepensionamento, ma per il 75 compleanno della Mostra. È come identificarmi con il Cinema. Che cosa si può volere di più di questi tempi?". Antonioni e Bergman "Mark Peploe e mia moglie Claire sono andati a trovare Michelangelo quando era ancora vivo, c'era intorno a lui un'atmosfera gioiosa di bambini che giocavano e vicino a lui un ghepardo di peluche con cui dormiva da anni. Poi, mi hanno detto che Michelangelo era così competitivo da non sopportare di lasciare a Bergman tutta la scena e così gliel'ha rubata. Una duplice morte molto simbolica, erano l'essenza del cinema, tutti i loro film appartengono a un'età molto adulta del cinema che parla di se stesso e del proprio linguaggio. Ricordo che allora mi commuoveva di più la bellezza di un movimento di macchina che due amanti che si dicevano addio". Cento autori"Sono uno di loro, di questo gruppo spontaneo nato nella libreria del cinema di Trastevere. Mi ha dato un piccolo brivido, come se esistesse ancora una comunità del cinema, un gruppo di persone che sentivano il dovere di fare qualcosa in questo momento in cui il cinema è così punito, ma anche autopunito. E la mia lettera a 'la Repubblica' ha provocato più reazioni di quanto immaginassi, ha espresso il disagio di chi ha la sensazione che i politici siano così lontani dalla cultura che bisogna almeno costringerli a pronunciare la parola".
Tarantino "Non capisco perché l'hanno preso così sul serio. Chissà quante ne dice anche su se stesso. Il suo amore per i B-movies italiani anni Settanta lo fa coccolare dai festival. Che sono la sua stanza dei giochi". Effetti speciali "Come tutte le innovazioni che ridanno energia al cinema sono i benvenuti. Probabilmente li userò in un certo modo nel mio prossimo film su Gesualdo da Venosa, il musicista napoletano tra Cinquecento e Seicento. Sono un altro modo di reinventare la visionarietà del cinema. E poi ci sono sempre stati. In un film di Hitchcock del '27, 'The Lodger', c'è questo personaggio sinistro avvolto in una cappa nera: quando vengono uccise le prostitute, la famiglia che lo ospita lo sente camminare su nella stanza, non c'è il suono dei passi, ma il pavimento diventa come di vetro e si vedono letteralmente i passi di lui che va e viene nella stanza. Se non è un effetto speciale questo. Anche se adesso c'è un eccesso di effetti, magari usati in modo volgare".Brando "Come l'ho convinto a fare 'Ultimo tango a Parigi'? Veramente volevo la Sanda e Trintignant, ma lui quasi piangendo mi disse che non poteva girare un film nudo, con scene di sesso. Dominique era incinta. Andai da Belmondo e da Delon, Belmondo quasi mi cacciò, pensava che fossi un pornografo, mi fece soffrire perché ero innamorato di 'A bout de souffle'. Delon era affascinato ma accettava solo se avesse prodotto lui il film. Rifiutai, non potevo essere controllato da un produttore anche attore. Christian Ferry, che lavorava per la Paramount, fece venire Brando a Parigi. Il mio inglese allora era così impossibile che gli raccontai in due minuti la storia, mi mancavano le parole. Brando sorrideva guardando il piede che agitavo nervosamente. Volle vedere 'Il conformista' e mi invitò a Los Angeles due settimane per parlare del film. A casa di Marlon si parlò di tutto, tranne che del film. Gli dissi che la mia scommessa era di avere non il Brando dell'Actor's studio, ma quello con cui passavo ore a parlare e a cena in ristorantini giapponesi deserti. A Parigi lo portai alla prima grande mostra di Bacon, volevo che vedesse in quei ritratti sconvolgenti il dolore e la disperazione che cercavo nel suo personaggio. Storaro riuscì poi a filmare il volto di Marlon dietro un vetro smerigliato, un effetto alla Bacon molto forte. Sul set c'era un atmosfera così intensa che qualcuno, come Maria Schneider, ne rimase sconvolto per tutta la vita. Con Marlon ci lasciammo benissimo, ma lui per una decina d'anni non volle più vedermi: credo per via dell'invasione che avevo filmato nella sua interiorità. Se ne rese conto solo quando vide il film. Anni dopo, durante 'Apocalypse Now', chiese a Storaro: 'Come sta il bambino profeta?'. Ero io. Vent'anni dopo ricominciammo a parlarci al telefono. Una volta ero a Los Angeles, mi disse vieni subito. Mi prese un attacco di panico, mi ritrovo in Mulholland drive davanti allo stesso cancello dove abita il mio amico Jack Nicholson, giro a sinistra, lo stesso giardino di un tempo e dietro un albero vedo una pancia che ride, spunta fuori Marlon ridendo, mi abbraccia. Nella grande stanza dove tutto era rimasto proprio uguale, solo un piccolo Buddha sul camino in più, seduti in terra, lui scalzo come lo descrive Truman Capote, parliamo parliamo finché viene buio. Era emozionato, il giorno prima era nato il suo ultimo figlio, avuto dalla sua maid colombiana. Quanti figli hai? Undici o dodici mi dice e mi racconta che dopo quella tragedia greca di figli morti o suicidi, era morto anche lui, ma pian piano stava resuscitando. Era molto grosso, di una pienezza orientale, eppure era ancora bellissimo".
Attori "Faccio pochissimi provini. Ho preferito Maria Schneider a Aurore Clement per 'Ultimo tango' perché aveva un viso più pericoloso. Come li scelgo? O sono attori di cui mi sono innamorato in altri film, e quindi sono citazioni quasi necessarie, sentimentali, oppure tutto avviene o non avviene nei primi minuti. Cerco negli attori dei segreti che saranno nutrimento della mia macchina da presa. Li spingo a improvvisare perché adoro le sorprese. Così è stato con Adriana Asti in 'Prima della rivoluzione' e soprattutto con Brando, in maniera esemplare. Ci sono attori, come Massimo Girotti, che non sbagliano mai, così come Stefania Sandrelli così intuitiva e istintiva, anche se ora fa troppa tv. De Niro in 'Novecento' aveva bisogno del conforto di una spiegazione, anche se poi andava per la sua strada. A Depardieu bastava dare una spinta nella schiena ed entrava in azione senza bisogno di parole. Sterling Hayden invece di parlare si faceva una canna prima di girare e Burt Lancaster aveva bisogno di parlare. Faceva il nonno di De Niro e accettò perché il ruolo gli ricordava 'Il Gattopardo'. 'Ma sono troppo caro per il tuo film e allora vengo gratis'. C'è sempre un meccanismo di seduzione nel rapporto con gli attori. Mi sono innamorato dei tre ragazzi di 'Dreamers' e ho fatto scoprire a Philip Garrel, regista, che suo figlio è un attore. E poi Liv Tyler, Eva Green, Rachel Weisz, Joseph Fiennes. Se non altro sarò ricordato come talent scout di giovani attori". Il cinema degli altri"A casa, a Roma, mi sono organizzato per proiettare film, anche se manca quel grande interlocutore dello schermo, il pubblico, nel buio amniotico della sala, come quando da bambino mio padre mi portava dalla campagna al cinema, a Parma. Vedo un po' di tutto. Adesso dei vecchi Kurosawa, prima di 'Rashomon', con Toshiro Mifune in abiti moderni nel Giappone del dopoguerra. Sono curiosissimo di vedere dove sta andando il cinema, non solo nelle sue mutazioni tecnologiche ma nelle ricerche sul linguaggio. Sono stato uno dei primi a parlare di Wong Kar-Wai, dei suoi primissimi film: 'Il treno per Nanchino' e 'Happy Togheter' con quei due omosessuali giapponesi misteriosamente finiti a Buenos Aires. Scopro tracce di me in registi nuovi che non sospettavo. Mi piace perché vedo qualcosa che sogno dai tempi di 'Un tè nel deserto' cioè l'innamoramento tra le culture. Mentre giravo quel film in Algeria ho scoperto una cappella dei Petits Frères, piccola ma con tre navate. Dalla porta si vedeva il tramonto dietro le dune, il pavimento era di sabbia, nell'acquasantiera non acqua ma sabbia, acquasantiera cattolica che accoglie sabbia islamica".L'assedio "C'è innamoramento tra culture anche tra il pianista inglese e la ragazza africana di 'L'assedio'. Che si può considerare la materializzazione di una frase di Cocteau nel suo film 'Les dames du Bois de Boulogne' dove Maria Casares al suo amante che le dice 'Je t'aime', risponde 'Il y a pas d'amour, il y a que des preuves d'amour'. Facile dire ti amo, più difficile darne la prova. E da allora questa frase l'ho messa in quasi tutti i miei film. L'ho fatta dire anche a Jean Marais in 'Io ballo da sola'. Non ho potuto resistere". Il camerasutra"Mi fa piacere che tu mi regali questo libro di Barthes perché è un autore che mi ha molto segnato. Siamo studenti tutta la vita, dicono i cinesi. In 'Partner', il mio film più rifiutato da tutti, c'è una vendeuse di detersivi, Tina Aumont, che bussa alla porta di Pierre Clementi e per convincerlo a comprare gli dice un brano delle 'Mythologies' (di Barthes) che spiega la differenza tra 'le détergent' e 'le savon'. Girando dieci anni dopo 'La luna' ho tradotto quello che dice Barthes in 'Le plaisir du texte' in termini cinematografici: una drammaturgia filmica dove coniugare generi diversi, dramma e commedia, dolore e gioia. Barthes voleva che i lettori dicessero ai suoi testi (e io al pubblico dei miei film): 'Je t'aime, je te veux' e che per me le posizione della macchina da presa (e per lui le parole) fossero come le posizioni del 'Kamasutra'. E io l'ho tradotto in 'camerasutra'".
Perché faccio film"Non so ballare, non so suonare e le poesie ho smesso di scriverle quando ho cominciato a fare film. Avevo in casa un poeta molto più bravo di me che non riuscivo a superare. Proprio mio padre - avevo 18 anni - mi portò a vedere 'La dolce vita' prima che venisse doppiata. Fellini temeva la censura e organizzò una proiezione per Pasolini, mio padre, Bassani e altri intellettuali che potessero eventualmente difendere il film. Rimasi letteralmente folgorato. Il film era col suono in diretta, in italiano, inglese, francese, svedese e sotto la voce di Fellini: 'Anita, dai! Smile!!', un suono incredibile. Nel '93 incontro Mastroianni, Fellini era morto da poco e Marcello era dégo té per come quel regista che non riusciva a trovare i soldi per fare film prima di morire, fosse osannato troppo tardi. Faccio film, dissi a Marcello, perché ho visto quella copia della 'Dolce vita', cosi visionaria. Fellini aveva inventato un mondo che ancora non c'era, sarebbe diventato come nel film subito dopo. Aveva creato una realtà che ancora non esisteva. Era straordinario in tutti i sensi, anche per l'idea che un regista di cinema per un momento diventa onnipotente. E dopo magari si ritrova a spingere un deambulatore".
(09 agosto 2007)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Ciak-parla-Bertolucci/1714807//2
di Rita Cirio
A Venezia gli verrà conferito il Leone d'Oro. Qui il regista apre la stanza dei suoi ricordi. Riflette sul cinema, racconta il rapporto con gli attori e traccia il bilancio della sua vita. Colloquio con Bernardo Bertolucci
Scherza, Bernardo Bertolucci, sull'accidente che lo costringe a camminare per un po' di tempo appoggiandosi a un deambulatore. "Ho pensato e sognato che questo piccolo attrezzo ortopedico a quattro ruote mi è stato assegnato dal destino per dirmi che nei miei film ho fatto troppe carrellate. E allora, per un periodo, mi sono trasformato in un carrello umano. Credo che dirò la stessa cosa quando dovrò salire sul palcoscenico della Mostra del Cinema di Venezia per ricevere il Leone d'Oro, che non è alla carriera, odora di prepensionamento, ma per il 75 compleanno della Mostra. È come identificarmi con il Cinema. Che cosa si può volere di più di questi tempi?". Antonioni e Bergman "Mark Peploe e mia moglie Claire sono andati a trovare Michelangelo quando era ancora vivo, c'era intorno a lui un'atmosfera gioiosa di bambini che giocavano e vicino a lui un ghepardo di peluche con cui dormiva da anni. Poi, mi hanno detto che Michelangelo era così competitivo da non sopportare di lasciare a Bergman tutta la scena e così gliel'ha rubata. Una duplice morte molto simbolica, erano l'essenza del cinema, tutti i loro film appartengono a un'età molto adulta del cinema che parla di se stesso e del proprio linguaggio. Ricordo che allora mi commuoveva di più la bellezza di un movimento di macchina che due amanti che si dicevano addio". Cento autori"Sono uno di loro, di questo gruppo spontaneo nato nella libreria del cinema di Trastevere. Mi ha dato un piccolo brivido, come se esistesse ancora una comunità del cinema, un gruppo di persone che sentivano il dovere di fare qualcosa in questo momento in cui il cinema è così punito, ma anche autopunito. E la mia lettera a 'la Repubblica' ha provocato più reazioni di quanto immaginassi, ha espresso il disagio di chi ha la sensazione che i politici siano così lontani dalla cultura che bisogna almeno costringerli a pronunciare la parola".
Tarantino "Non capisco perché l'hanno preso così sul serio. Chissà quante ne dice anche su se stesso. Il suo amore per i B-movies italiani anni Settanta lo fa coccolare dai festival. Che sono la sua stanza dei giochi". Effetti speciali "Come tutte le innovazioni che ridanno energia al cinema sono i benvenuti. Probabilmente li userò in un certo modo nel mio prossimo film su Gesualdo da Venosa, il musicista napoletano tra Cinquecento e Seicento. Sono un altro modo di reinventare la visionarietà del cinema. E poi ci sono sempre stati. In un film di Hitchcock del '27, 'The Lodger', c'è questo personaggio sinistro avvolto in una cappa nera: quando vengono uccise le prostitute, la famiglia che lo ospita lo sente camminare su nella stanza, non c'è il suono dei passi, ma il pavimento diventa come di vetro e si vedono letteralmente i passi di lui che va e viene nella stanza. Se non è un effetto speciale questo. Anche se adesso c'è un eccesso di effetti, magari usati in modo volgare".Brando "Come l'ho convinto a fare 'Ultimo tango a Parigi'? Veramente volevo la Sanda e Trintignant, ma lui quasi piangendo mi disse che non poteva girare un film nudo, con scene di sesso. Dominique era incinta. Andai da Belmondo e da Delon, Belmondo quasi mi cacciò, pensava che fossi un pornografo, mi fece soffrire perché ero innamorato di 'A bout de souffle'. Delon era affascinato ma accettava solo se avesse prodotto lui il film. Rifiutai, non potevo essere controllato da un produttore anche attore. Christian Ferry, che lavorava per la Paramount, fece venire Brando a Parigi. Il mio inglese allora era così impossibile che gli raccontai in due minuti la storia, mi mancavano le parole. Brando sorrideva guardando il piede che agitavo nervosamente. Volle vedere 'Il conformista' e mi invitò a Los Angeles due settimane per parlare del film. A casa di Marlon si parlò di tutto, tranne che del film. Gli dissi che la mia scommessa era di avere non il Brando dell'Actor's studio, ma quello con cui passavo ore a parlare e a cena in ristorantini giapponesi deserti. A Parigi lo portai alla prima grande mostra di Bacon, volevo che vedesse in quei ritratti sconvolgenti il dolore e la disperazione che cercavo nel suo personaggio. Storaro riuscì poi a filmare il volto di Marlon dietro un vetro smerigliato, un effetto alla Bacon molto forte. Sul set c'era un atmosfera così intensa che qualcuno, come Maria Schneider, ne rimase sconvolto per tutta la vita. Con Marlon ci lasciammo benissimo, ma lui per una decina d'anni non volle più vedermi: credo per via dell'invasione che avevo filmato nella sua interiorità. Se ne rese conto solo quando vide il film. Anni dopo, durante 'Apocalypse Now', chiese a Storaro: 'Come sta il bambino profeta?'. Ero io. Vent'anni dopo ricominciammo a parlarci al telefono. Una volta ero a Los Angeles, mi disse vieni subito. Mi prese un attacco di panico, mi ritrovo in Mulholland drive davanti allo stesso cancello dove abita il mio amico Jack Nicholson, giro a sinistra, lo stesso giardino di un tempo e dietro un albero vedo una pancia che ride, spunta fuori Marlon ridendo, mi abbraccia. Nella grande stanza dove tutto era rimasto proprio uguale, solo un piccolo Buddha sul camino in più, seduti in terra, lui scalzo come lo descrive Truman Capote, parliamo parliamo finché viene buio. Era emozionato, il giorno prima era nato il suo ultimo figlio, avuto dalla sua maid colombiana. Quanti figli hai? Undici o dodici mi dice e mi racconta che dopo quella tragedia greca di figli morti o suicidi, era morto anche lui, ma pian piano stava resuscitando. Era molto grosso, di una pienezza orientale, eppure era ancora bellissimo".
Attori "Faccio pochissimi provini. Ho preferito Maria Schneider a Aurore Clement per 'Ultimo tango' perché aveva un viso più pericoloso. Come li scelgo? O sono attori di cui mi sono innamorato in altri film, e quindi sono citazioni quasi necessarie, sentimentali, oppure tutto avviene o non avviene nei primi minuti. Cerco negli attori dei segreti che saranno nutrimento della mia macchina da presa. Li spingo a improvvisare perché adoro le sorprese. Così è stato con Adriana Asti in 'Prima della rivoluzione' e soprattutto con Brando, in maniera esemplare. Ci sono attori, come Massimo Girotti, che non sbagliano mai, così come Stefania Sandrelli così intuitiva e istintiva, anche se ora fa troppa tv. De Niro in 'Novecento' aveva bisogno del conforto di una spiegazione, anche se poi andava per la sua strada. A Depardieu bastava dare una spinta nella schiena ed entrava in azione senza bisogno di parole. Sterling Hayden invece di parlare si faceva una canna prima di girare e Burt Lancaster aveva bisogno di parlare. Faceva il nonno di De Niro e accettò perché il ruolo gli ricordava 'Il Gattopardo'. 'Ma sono troppo caro per il tuo film e allora vengo gratis'. C'è sempre un meccanismo di seduzione nel rapporto con gli attori. Mi sono innamorato dei tre ragazzi di 'Dreamers' e ho fatto scoprire a Philip Garrel, regista, che suo figlio è un attore. E poi Liv Tyler, Eva Green, Rachel Weisz, Joseph Fiennes. Se non altro sarò ricordato come talent scout di giovani attori". Il cinema degli altri"A casa, a Roma, mi sono organizzato per proiettare film, anche se manca quel grande interlocutore dello schermo, il pubblico, nel buio amniotico della sala, come quando da bambino mio padre mi portava dalla campagna al cinema, a Parma. Vedo un po' di tutto. Adesso dei vecchi Kurosawa, prima di 'Rashomon', con Toshiro Mifune in abiti moderni nel Giappone del dopoguerra. Sono curiosissimo di vedere dove sta andando il cinema, non solo nelle sue mutazioni tecnologiche ma nelle ricerche sul linguaggio. Sono stato uno dei primi a parlare di Wong Kar-Wai, dei suoi primissimi film: 'Il treno per Nanchino' e 'Happy Togheter' con quei due omosessuali giapponesi misteriosamente finiti a Buenos Aires. Scopro tracce di me in registi nuovi che non sospettavo. Mi piace perché vedo qualcosa che sogno dai tempi di 'Un tè nel deserto' cioè l'innamoramento tra le culture. Mentre giravo quel film in Algeria ho scoperto una cappella dei Petits Frères, piccola ma con tre navate. Dalla porta si vedeva il tramonto dietro le dune, il pavimento era di sabbia, nell'acquasantiera non acqua ma sabbia, acquasantiera cattolica che accoglie sabbia islamica".L'assedio "C'è innamoramento tra culture anche tra il pianista inglese e la ragazza africana di 'L'assedio'. Che si può considerare la materializzazione di una frase di Cocteau nel suo film 'Les dames du Bois de Boulogne' dove Maria Casares al suo amante che le dice 'Je t'aime', risponde 'Il y a pas d'amour, il y a que des preuves d'amour'. Facile dire ti amo, più difficile darne la prova. E da allora questa frase l'ho messa in quasi tutti i miei film. L'ho fatta dire anche a Jean Marais in 'Io ballo da sola'. Non ho potuto resistere". Il camerasutra"Mi fa piacere che tu mi regali questo libro di Barthes perché è un autore che mi ha molto segnato. Siamo studenti tutta la vita, dicono i cinesi. In 'Partner', il mio film più rifiutato da tutti, c'è una vendeuse di detersivi, Tina Aumont, che bussa alla porta di Pierre Clementi e per convincerlo a comprare gli dice un brano delle 'Mythologies' (di Barthes) che spiega la differenza tra 'le détergent' e 'le savon'. Girando dieci anni dopo 'La luna' ho tradotto quello che dice Barthes in 'Le plaisir du texte' in termini cinematografici: una drammaturgia filmica dove coniugare generi diversi, dramma e commedia, dolore e gioia. Barthes voleva che i lettori dicessero ai suoi testi (e io al pubblico dei miei film): 'Je t'aime, je te veux' e che per me le posizione della macchina da presa (e per lui le parole) fossero come le posizioni del 'Kamasutra'. E io l'ho tradotto in 'camerasutra'".
Perché faccio film"Non so ballare, non so suonare e le poesie ho smesso di scriverle quando ho cominciato a fare film. Avevo in casa un poeta molto più bravo di me che non riuscivo a superare. Proprio mio padre - avevo 18 anni - mi portò a vedere 'La dolce vita' prima che venisse doppiata. Fellini temeva la censura e organizzò una proiezione per Pasolini, mio padre, Bassani e altri intellettuali che potessero eventualmente difendere il film. Rimasi letteralmente folgorato. Il film era col suono in diretta, in italiano, inglese, francese, svedese e sotto la voce di Fellini: 'Anita, dai! Smile!!', un suono incredibile. Nel '93 incontro Mastroianni, Fellini era morto da poco e Marcello era dégo té per come quel regista che non riusciva a trovare i soldi per fare film prima di morire, fosse osannato troppo tardi. Faccio film, dissi a Marcello, perché ho visto quella copia della 'Dolce vita', cosi visionaria. Fellini aveva inventato un mondo che ancora non c'era, sarebbe diventato come nel film subito dopo. Aveva creato una realtà che ancora non esisteva. Era straordinario in tutti i sensi, anche per l'idea che un regista di cinema per un momento diventa onnipotente. E dopo magari si ritrova a spingere un deambulatore".
(09 agosto 2007)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Ciak-parla-Bertolucci/1714807//2